Teatro

Herlitzka: "Se sei bravo a recitare spaventi gli altri"

Herlitzka: "Se sei bravo a recitare spaventi gli altri"

Spiega Roberto Herlitzka, torinese di nascita e boemo di origini, uno dei nostri migliori attori di teatro, di avere esitato prima di accettare di interpretare l’anziano omosessuale protagonista del monologo Solo RH scritto da Vitaliano Trevisan per la rassegna «Garofano Verde». «Ho detto di sì quando mi sono accorto che il personaggio era segnato da un conflitto, esprimeva un amore disperato da cui non poteva liberarsi». Se fosse stato un omosessuale felice avrebbe rifiutato? «L’ho fatto. Me l’avevano proposto per un film: era un omosessuale che parlava del suo compagno come fosse stato sua moglie. Non mi interessava». Devono essere tormentati gli omosessuali per piacerle? «Non si tratta di omosessuali o di eterosessuali. Si tratta di personaggi teatrali. Devono concedermi una ricerca espressiva. La normalità spesso è piatta, a meno che non si tratti di Cechov che ha una qualità di scrittura altissima». Che idea s’è fatta dell’omosessualità, lei che di omosessuali deve averne conosciuti? «Nessuna idea. Ne ho incontrati tanti ma non ho mai generalizzato, né mai mi sono occupato della tutela dei loro diritti. Forse non parteciperei alle manifestazioni di “Orgoglio gay”. Troppo gridate per me». Herlitzka è un attore fuori dagli schemi. Lui si definisce, all’inglese, «actor for actors» nel senso che gli addetti ai lavori, i critici, i colleghi lo conoscono e lo stimano, ma il grosso pubblico lo ignora. Libero battitore che non ha mai fatto parte di una compagnia di teatro stabile perché gli piace scegliere quello che più lo intriga, pur avendo partecipato a film di autori come Faenza, Magni, Del Monte, Andò, Wertmüller, Comencini, è entrato nel cinema soprattutto con il ritratto che Bellocchio ha fatto di Aldo Moro durante il sequestro da parte delle BR in Buongiorno notte. «Ma anche questo ruolo, che pure era da protagonista, non mi ha regalato la popolarità». E racconta di quando, pochi mesi fa, a Palermo con Milena Vukotic, sua compagna di scena, mentre la gente la chiamava «Nonna Enrica» o addirittura «Lina Banfi» per la sua costante presenza in Un medico in famiglia, lui doveva farsi da parte, per lasciare posto a lei obbligata a firmare autografi. Disdegna la fiction, Herlitzka? «Tutt’altro. Qualcosa in tv l’ho fatta. Ultimamente ho partecipato molto ben diretto a Graffio di tigre. Se mi piace il ruolo vado volentieri. E’ la fiction che rifiuta me». E perché? La fiction ha bisogno di attori bravi. «Per età non posso più fare il giovane innamorato. Piccole parti di contorno le scarto. Se recito troppo bene creo imbarazzo. Resta poco». Cosa? «Ho fatto Boris, quella fiction di Sky che ironizza sulla fiction: un testo divertente e assolutamente autentico». Con il teatro, però, non avrà problemi. «Ce li ho anche là. Sul mio nome non si chiudono i contratti». Impossibile. «Quando ho fatto Re Lear, a Verona, il produttore dello spettacolo mi confessò che se Alessandro Preziosi, l’interprete di Rivombrosa, non avesse accettato, lo spettacolo non si sarebbe realizzato. Il suo nome in cartellone è una garanzia, il mio no». Come ha fatto allora Bellocchio ad imporla nel ruolo di Moro? «C’era lui, Bellocchio. E’ bastato». L’ultimo film cui ha partecipato? «Quello che Giuliano Montaldo sta girando su Dostoievski. Sono il capo della polizia che perseguita un gruppo di rivoluzionari». Lo spettacolo teatrale cui è più legato? «A lungo ho sognato di fare Amleto, ma non mi era mai capitato. Poi, dieci anni fa, me lo propose il regista Pagliaro dicendomi di farne ciò che volevo. Tagliai tutti gli altri ruoli e lo trasformai in un monologo. L’ho chimato “ex Amleto” perché arrivava troppo tardi per i miei anni. Ero un Amleto fuori tempo. E’ piaciuto talmente, malgrado la stranezza, che l’ho recitato ovunque. Anche in Francia».